Il termine “stalking”, oramai di uso comune e smisurato, deriva dal linguaggio della caccia. In realtà non è facile la sua traduzione. Si potrebbe far ricorso a diverse locuzioni come “fare le poste”, “inseguire”, “braccare”, “disturbare”, “assillare”, “perseguitare”.
In effetti con il termine “stalking” identifichiamo un insieme di comportamenti, dovendo diffidare dal tentativo di conferire un unico significato alla parola, in considerazione della varietà delle forme di manifestazione rilevabili sul piano criminologico.
E’ però possibile riconoscere una convergenza sostanziale del fenomeno nelle sue varie rivelazioni, consistente in un insieme di comportamenti ripetuti, a carattere intrusivo, minaccioso o violento, che una persona compie ai danni di una vittima oggetto di ossessione, la quale subisce un’alterazione del complessivo equilibrio psicologico .
Tra i comportamenti purtroppo noti e all’ordine del giorno, pedinamenti, telefonate indesiderate o messaggi di posta elettronica, sms ossessivi, invio di doni, minacce, ingiurie, violenze, danneggiamenti di cose di proprietà della vittima e così via.
Il carattere peculiare di questo delitto è sicuramente l’effetto che il comportamento criminoso produce in capo alla vittima, attraverso il quale è possibile individuare il reato medesimo. E’ ciò che la letteratura scientifica chiama “sindrome da trauma”: sensazioni di disagio, preoccupazione, timore, angoscia, senso di isolamento, profonda insicurezza e disperazione.
Non a caso dottrina e giurisprudenza univocamente ritengono che i beni protetti dalla norma siano proprio la libertà morale della vittima, intesa come libertà da intrusioni moleste e assillanti, oltre che la sua integrità psichica.
Ma quando si configura il reato?
La fattispecie incriminatrice
Il legislatore ha previsto il reato di stalking all’art. 612 bis del codice penale, sotto il nome di “atti persecutori”. La norma punisce il suo autore con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi. Nel caso in cui questi sia il coniuge della vittima, anche separato o divorziato, o una persona che è o è stata con lei legata da relazione affettiva oppure nel caso in cui il fatto sia stato commesso attraverso strumenti informatici o telematici, la pena è aumentata. La variazione in aumento della pena sarà fino alla metà se il fatto sia commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità.
Affinchè il reato si configuri è necessaria la reiterazione di una condotta minacciosa o molesta, che sia causa di uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla fattispecie:
1) Il perdurante e grave stato di ansia o paura della vittima;
2) Il fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona comunque legata affettivamente;
3) La costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.
Dunque il reato di atti persecutori è un reato di danno e di evento: la sua sussistenza richiede non solo una condotta molesta o minacciosa ripetuta nel tempo ma anche un’alterazione nell’equilibrio della vittima, che rappresenta il danno e l’evento causato dai comportamenti tenuti.
Si comprende quindi che mentre, da un lato, il riconoscimento delle condotte non desta perplessità, posto che sia la minaccia che la molestia sono azioni che hanno superato il “rodaggio” nozionistico della giurisprudenza, le criticità sorgono sul versante dell’accertamento delle conseguenze dannose delle stesse, le quali si verificano nella sfera psichica della vittima, rendendone davvero difficile l’indagine giudiziale.
Ma prima di affrontare il profilo relativo all’accertamento giudiziale del reato di atti persecutori, di seguito alcune risposte a comuni interrogativi.
Sorvolando sulla minaccia, i cui caratteri distintivi sono ormai comunemente conosciuti, quando un comportamento può dirsi molesto?
Per molestia deve intendersi tutto ciò che viene ad alterare dolosamente, fastidiosamente e importunamente, in modo immediato o mediato, lo “stato psichico” di una persona (Cass. sent. 40740/2007; Cass. sent. 19718/2005).
Alcuni esempi pratici: commette il reato di atti persecutori attraverso condotte moleste colui che reiteratamente telefoni alla persona offesa presso il luogo di lavoro trasmettendo messaggi dal contenuto ingiurioso e con riferimenti espliciti alla vita sessuale, così cagionando un grave e perdurante stato d’ansia.
Lo stesso anche per chi reiteratamente invii alla persona offesa “sms” e messaggi di posta elettronica o postali sui social network.
Quando sussiste la reiterazione delle condotte, necessaria a consumare lo stalking?
La giurisprudenza di legittimità (Cass., sent.1945/2010) ha affermato che la reiterazione è integrata da una “cadenza frequentissima, anche quotidiana” delle condotte persecutorie, che si spalmano “nel corso di un ampio arco temporale”, riconoscendo però la sufficienza anche di due soli episodi a integrare il requisito della reiterazione, purchè denotate da una carica offensiva così incisiva da esprimere quell’efficienza causale rispetto all’equilibrio emotivo e psicologico della vittima, che rappresenta il vero dato caratterizzante la fattispecie in esame.
Che cosa si intende per “perdurante e grave stato di ansia o di paura”?
E’ il primo evento tipizzato come effetto che deve essere cagionato dalla reiterazione di condotte di molestia e minaccia. Trattasi di stati emotivi che la vittima deve avvertire quali effetti spiacevoli provocati dalle condotte assillanti. Occorre precisare che non tutti gli impatti emotivi spiacevoli possono essere ricondotti all’evento previsto dalla norma ma soltanto quelli “perduranti” e “gravi”. Insomma, uno stress psicologico seriamente apprezzabile.
Quale valore si deve attribuire al “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”?
Esso rappresenta il secondo evento previsto dalla norma. Anche il “fondato timore” ricorda un sentimento di ansia e paura per un imminente pericolo. Deve essere concreto e valutato su circostanze di fatto: da qui il significato di “fondato”.
Che cosa si deve intendere per “alterazione delle proprie abitudini di vita”?
E’ il terzo evento previsto dalla fattispecie. La dizione è davvero generica, tanto da lasciare all’interprete l’onere (rectius, la libertà) di individuare le alterazioni peggiorative della vita della vittima. E’ chiaro che tale alterazione dovrà essere valutata dal giudice considerando quale parametro l’ordinario stile di vita e il connesso sistema di valori della persona offesa, con la conseguenza di non poter ritenere penalmente rilevante una modifica priva di reale significato.
E a proposito di valutazione giudiziale: come si accerta il reato di stalking?
Stalking e accertamento giudiziale: il ruolo della vittima
Poste le precedenti riflessioni nozionistiche, le quali assurgono a sunto delle definizioni maggiormente condivise in dottrina e giurisprudenza, occorre dare atto al lettore che in verità l’operazione ermeneutica del giudice non è di facile soluzione, vuoi per la poliedricità degli avvenimenti concreti, vuoi per la tipizzazione legislativa che, lo si deve riconoscere, appare scontare un certo tasso di indeterminatezza.
Del resto, l’incertezza della littera legis è un costo da pagare, a fronte di un bene protetto dalla norma che è altrettanto indeterminato.
A quello dell’interpretazione si aggiunga, poi, il problema dell’accertamento.
Per come è strutturata la norma, infatti, lo stalking si configura soltanto e solo se possa essere accertato lo stato soggettivo della persona offesa, con la conseguenza che l’accertamento della penale responsabilità dipende dalla percezione che la vittima ha avuto dei comportamenti compiuti dal reo.
Di conseguenza, il maggiore impegno giudiziale verrà speso nella comprensione dello stato d’animo della persona offesa. Il rischio è chiaramente quello di ancorare una pronuncia di condanna su di una falsa manifestazione della vittima.
Ecco allora che fondamentale sarà un attento vaglio del Giudice sulla credibilità di quest’ultima, volto ad equilibrare le parole espresse con la personalità di quel soggetto che, a tutti gli effetti, diviene talvolta unica fonte di prova.
Casi pratici e ripetuti di stalking
Il reato di atti persecutori è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 2009. Oggi la giurisprudenza italiana vanta numerose sentenze capaci di dare parzialmente ristoro al senso di indeterminatezza suscitato dalla fattispecie. A titolo solamente esemplificativo, alcuni casi interessanti ritenuti meritevoli di pena.
– Nel 2020 un uomo è stato condannato per il reato di atti persecutori commesso in danno della sua ex convivente, madre di suo figlio, perché si è reso autore di incursioni in casa, danneggiamenti dell’autovettura della persona offesa e dei genitori, innumerevoli chiamate telefoniche a qualsiasi orario, minacce di morte, atti vandalici, quali la rottura delle serrature di casa o l’imbrattamento dei muri esterni dell’edificio, pedinamenti (Cass. sent. 10904/2020).
– Nello stesso anno un lavoratore è stato condannato perché riservava alla collega insistenti ed assillanti sms e mms alla sua utenza telefonica, anche di contenuto allusivamente minaccioso di esibizione al marito di foto o filmini della stessa di contenuto erotico, nonché appostamenti e pedinamenti nei confronti della donna, che diffamava mediante diffusione, nei bagni pubblici e nelle stazioni, del suo numero di telefono con invito a contattarla per prestazioni sessuali (Cass. sent. 1890/2020).
– E’ configurabile il reato di stalking anche in caso di bullismo. Nel 2017 la Cassazione ha infatti condannato quattro ragazzi che, all’epoca dei fatti minorenni studenti di un istituto tecnico, avevano preso di mira, per due anni, un compagno di scuola, picchiandolo e insultandolo, a turno, fino a indurlo, dopo essere finito in ospedale, a lasciare la scuola per trasferirsi in Piemonte. Per la Corte, la deposizione della sola persona offesa è valsa come prova in quanto giudicata attendibile, anche alla luce del contesto di indifferenza degli altri compagni di classe e degli insegnanti che non si erano accorti di nulla (Cass., sent. 28623/2017).
– E’ di Febbraio 2021 la decisione della Suprema Corte, la quale ha condannato per stalking un padre per il comportamento tenuto ai danni della figlia. Egli, con condotte assillanti, non avrebbe rispettato la vita della figlia, presentandosi senza invito e avviso ai suoi eventi sportivi e di divertimento, dimostrandosi refrattario ai consigli dei consulenti, ritenendo che in una situazione conflittuale fosse l’unico modo per vedere la figlia e tentare di cucire un rapporto con lei (Cass., sent. 2512/2021).
– E’ frequente assistere ad atti persecutori anche nei rapporti di vicinato. Tra i tanti casi, il Tribunale di Campobasso nel 2019 ha ritenuto responsabile un uomo che, a causa di una contesa avente ad oggetto un’area di 40 metri quadri e alcuni lavori intrapresi dai propri confinanti, ha iniziato a tenere condotte moleste nei confronti di questi ultimi: appostamenti notturni dietro il cancello e parcheggi studiati appositamente per impedire ai vicini di uscire di casa (Trib. di Campobasso, sent. 530/2019).
Vittima di stalking: percorsi di tutela
Quali sono le strade percorribili che il legislatore ha previsto a tutela di chi subisce atti persecutori?
Anzitutto si deve sapere che il termine di presentazione della querela è di 6 mesi, decorrenti dall’ultimo atto di persecuzione. Ciò in quanto è nota la difficoltà per la vittima di tali reati nell’intraprendere azioni nei confronti dello stalker, per paura delle possibili conseguenze e per il timore di subire ritorsioni.
In effetti il contrasto di questa forma di violenza trova nella informativa alle Autorità la sua miglior forma di tutela. Il problema risiede nel fatto che portare a conoscenza il fatto di violenza alle Forze dell’Ordine o alla Procura della Repubblica è un “passo” difficile, considerando il frequente timore di un maggior accanimento da parte dello stalker.
Un ruolo fondamentale nel contrastare tale desistenza alla denuncia è stato assunto nel corso degli ultimi anni dai centri antiviolenza, che assicurano le vittime in tutto il percorso di tutela, sino e soprattutto dal momento di presentazione della querela. Sono proprio le Forze dell’Ordine o la Procura che ricevono l’informazione dalla persona offesa ad assicurare un primo e celere contatto con il centro antiviolenza più vicino.
Un’ultima e importante innovazione è stata introdotta con la riforma del Codice Rosso, allo scopo di garantire un più immediato intervento dell’Autorità Pubblica e pertanto apprestare una più celere tutela alla vittima che abbia denunciato. Essa avrà infatti diritto di essere sentita dal Pubblico Ministero entro soli 3 giorni dall’ iscrizione della notizia di reato.
Se il Giudice delle indagini preliminari lo riterrà opportuno, potrà disporre per l’indagato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282 ter c.p.p.).
Infine, va segnalata la possibilità di beneficiare di un intervento di natura amministrativa: l’ammonimento del questore. E’ un mezzo di tutela a cui, in verità, molte vittime fanno accesso, probabilmente considerandola quale alternativa “più lieve” rispetto ad un processo penale, che purtroppo spaventa anche la persona offesa oltrechè l’autore del reato.
L’intervento amministrativo consisterebbe in un richiamo orale del Questore rivolto all’autore delle condotte, che viene diffidato dal tenere una condotta contraria alla legge. E’ un vero e proprio avvertimento che in caso di prosecuzione, egli sarà denunciato per il reato di cui all’art. 612 bis c.p.
Con il predetto richiamo il Questore può disporre anche la sospensione del porto d’armi. In caso di successivo procedimento penale, la violazione dell’ammonimento determinerà la procedibilità d’ufficio del reato ed un aumento della pena irrogabile.
Quale che sia il percorso scelto dalla vittima per porre rimedio alle angherie del proprio stalker, è fondamentale che la stessa compia tale decisione prima che il fenomeno persecutorio degeneri, come sovente statisticamente accade, in ipotesi criminose di ben altra entità. Lo stalking ha il primato di fattispecie criminale più frequente nell’ambito dei rapporti umani di matrice affettiva. Si pensi soltanto che l’ultimo aggiornamento ISTAT rivela che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) ha subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell’arco della propria vita. Il 78% di queste non si è rivolta ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto presso servizi specializzati; solo il 15% si è rivolta alle forze dell’ordine, il 4,5% ad un avvocato, mentre l’1,5% ha cercato aiuto presso un servizio o un centro antiviolenza o anti stalking.
Dall’analisi di questi dati si comprende come la reale entità del fenomeno è di gran lunga superiore ai casi di persecuzione emersi e portati all’attenzione dell’Autorità Giudiziaria.
L’auspicio è pertanto quello di un legislatore che non interrompa il progetto di lotta allo stalking, che sia capace di determinare nel tempo una maggior emersione del fenomeno criminoso, anche attraverso una dovuta informazione diretta alle vittime del reato, che possa incoraggiare atti di libertà, confidando nella protezione dello Stato.
A presto
MN
Il 1522 è un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. Il numero, gratuito, è attivo 24 h su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking.
Per avere aiuto o anche solo un consiglio chiama il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari) o rivolgiti ad un avvocato.