ACCESSO ABUSIVO AD UN SISTEMA INFORMATICO: QUANDO È REATO?

Per espressa previsione dell’art. 615 ter del codice penale, chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza o vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
Il reato in questione si configura non soltanto quando chi accede al sistema informatico sia sprovvisto di autorizzazione: l’accesso, infatti, è considerato abusivo anche quando l’autore, pur essendo abilitato all’accesso, è entrato nel sistema per ragioni “estranee” a quelle per le quali gli è attribuita la facoltà.

E’ quanto è stato precisato dalla Suprema Corte a sezioni Unite con la sentenza 18 maggio 2017 con riferimento alla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare per delimitarne l’accesso, acceda o si mantenga nel sistema per ragioni “ontologicamente” estranee o diverse rispetto a quelle per le quali, soltanto, la facoltà di accesso gli è attribuita.
Gli stessi principi espressi per il pubblico funzionario possono essere trasfusi anche al settore privato, nella parte in cui vengono in rilievo i doveri di fedeltà e lealtà del dipendente. E’ stato ad esempio ravvisato il reato nei confronti di un dipendente di una banca che aveva ricevuto e girato sul proprio indirizzo di posta personale alcune mail contenenti informazioni bancarie riservate.
Poiché, infatti, lo scopo della norma è quello di inibire “ingressi abusivi” nel sistema informatico, non assume rilievo ciò che l’agente ebbe a carpire indebitamente (se notizie riservate o altrimenti recuperabili) ma l’ingresso stesso non sorretto da ragioni collegate al servizio svolto: si tratta, infatti, di un reato di pericolo, che si concretizza ogniqualvolta l’ingresso abusivo riguardi un sistema informatico in cui sono contenute notizie riservate.

A presto
MN

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