IL “FALLO DI GIOCO” È DENUNCIABILE SE PROVOCA UN INFORTUNIO?

Chi pratica uno sport agonistico o chi ne è appassionato anche soltanto in quanto spettatore, sa benissimo che esistono una serie di comportamenti che, se commessi all’infuori del campo dI gioco, sarebbero considerati certamente aggressivi e penalmente punibili ma, al contrario, in quanto posti in essere nell’ambito dell’attività sportiva agonistica sono consentiti.
Si pensi al calciatore che per raggiungere il pallone provochi la caduta dell’avversario e il conseguente infortunio. Se la stessa “scivolata” sulle gambe fosse compiuta per strada, in stazione o in qualsiasi altra circostanza di vita, l’aggressore ben sarebbe passibile di querela. Eppure, anche nello spor agonistico, esiste un limite invalicabile che delinea il confine tra il lecito e l’illecito, una sottile cornice che comprende quello che la giurisprudenza chiama rischio consentito per il “fallo da gioco” e all’infuori della quali le condotte lesive non trovano giustificazione nell’attività agonistica in quanto considerate “eccessive” dall’ordinamento.

Su dove dovesse porsi tale limite si è più volte interrogata nel tempo la giurisprudenza. Di recente, in particolare, la Suprema Corte si è trovata a dover decidere un caso verificatosi nell’ambito di una competizione automobilistica, in cui un pilota eseguiva una manovra di sorpasso con modalità non consentite dalle regole sportive in quanto venivano superati i margini della pista. L’azzardata manovra aveva fatto perdere il controllo del mezzo e aveva finito per tamponare l’auto di un rivale nella gara, che in conseguenza di ciò riportava lesioni personali.
Ebbene nel caso di specie ci si è chiesti se la condotta del pilota “imprudente”, anche se commessa in violazione delle regole della competizione, potesse dirsi consentita alla luce del diritto penale. In poche parole, se il sorpasso azzardato dovesse integrare il reato di lesioni colpose oppure se potesse essere giustificato dalla gara, posto che in effetti, a detta della difesa, la manovra sarebbe stata coerente con lo spirito e la finalità della competizione e peraltro certamente non tesa ad attentare alla vita del rivale.
Sul punto la posizione assunta dalla difesa del pilota rimasto vittima del sorpasso si presentava molto rigida, volendo attribuire rilevanza penale a tutte quelle condotte compiute in violazione delle regole di gioco. Una simile interpretazione delle norme porterebbe ad attribuire responsabilità penale a chiunque, nell’ordinario evolversi di una gara, provochi lesioni all’avversario, pur involontariamente.
Come noto, però, nella maggior parte delle attività sportive agonistiche, si pensi al più comune gioco del calcio o della pallacanestro, la commissione di un “fallo”, che di per sé è violazione di una regola di gioco, è comunemente accettato, anche se volontario e studiato, in quanto la violazione delle regole è il più delle volte essa stessa svolgimento tecnico dell’attività agonistica.
E’ proprio per questo che la giurisprudenza di legittimità ha riconosciuto la necessità di ricorrere, anche in questo settore, ai principi generali in materia di colpa, ponendo una netta distinzione tra l’inosservanza della regola cautelare sportiva e l’individuazione di una regola cautelare, rilevante ai fini della responsabilità penale, che connoti di antidoverosità la condotta dell’atleta impegnato nella gara o nella pratica sportiva.
In buona sostanza le regole di gioco non sono necessariamente regole cautelari dalla cui inosservanza consegua automaticamente un addebito di colpa penale in presenza di eventi dannosi collegati causalmente al gesto sportivo: “la violazione di una regola del gioco che sanziona un fallo di gioco non può al contempo dar luogo a colpa penale perché quelle regole definiscono comportamenti resi leciti dalla accettazione da parte di tutti i partecipanti” e dalla loro inosservanza consegue una sanzione sportiva o disciplinare che assume rilevanza nell’ambito della stessa gara in cui è intervenuta la violazione, mediante l’applicazione di una punizione, una penalità o una squalifica, che potrebbe avere conseguenze anche nelle gare successive” (Cass., sent. 37178/2022).
Esistono allora due diverse aree, quella sportiva e quella penale, coperte da regole diverse, perché dirette a gestire “rischi” diversi: quelli sportivi sono conosciuti e accettati dagli atleti, i quali in tale ambito sono consapevoli della potenziale lesività di determinate azioni di gioco, quale conseguenza possibile della pratica sportiva svolta. Quelli penali, invece, sono conseguenze dannose di azioni che esorbitano dall’ordinario sviluppo del gioco o della pratica sportiva interessata, aventi cioè un “quid pluris” che le rende perseguibili penalmente in quanto caratterizzate da dolo, quando siano volontariamente rivolte a procurare nocumento all’avversario ovvero da colpa quando si travalichi, per colpa appunto, il confine della lealtà sportiva tradendo l’affidamento serbato degli altri partecipanti alla competizione sul rispetto dei limiti della stessa
Tornando, dunque, alla domanda iniziale: quando un “fallo di gioco” è denunciabile se provoca lesioni?
Quando le lesioni siano state provocate da un comportamento del giocatore non atteso dall’ordinario sviluppo del gioco, o perché commesso volontariamente per infortunare l’avversario o perché posto in essere con comportamento sleale, non accettato dalla comune consuetudine della pratica sportiva.

A presto
MN

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