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L’Intelligenza Artificiale entra nel diritto penale

Negli ultimi anni, l’Intelligenza Artificiale (IA) è diventata parte della nostra vita quotidiana: dai sistemi di riconoscimento facciale ai software che aiutano banche, aziende e perfino pubbliche amministrazioni a prendere decisioni.
Ma cosa accade quando un algoritmo “sbaglia”?

E, soprattutto, chi ne risponde penalmente se da quell’errore derivano danni o conseguenze per le persone?
Il diritto penale italiano — basato sul principio della responsabilità personale — si trova davanti a una sfida inedita: individuare le colpe quando un fatto è generato (o influenzato) da un sistema automatizzato.

Chi è responsabile di un errore dell’algoritmo?

L’algoritmo, per definizione, non è una persona, e quindi non può essere ritenuto penalmente responsabile. Tuttavia, ogni software nasce da decisioni umane: qualcuno lo ha progettato, programmato, addestrato e supervisionato.
Per questo, in caso di errore, il diritto penale tende a risalire alla condotta delle persone che hanno gestito o controllato l’IA.

Due scenari sono oggi i più discussi:

  1. L’algoritmo come strumento

È il caso più comune: l’IA viene usata come mezzo per compiere un’azione (ad esempio, analizzare dati, riconoscere volti, o selezionare comportamenti sospetti). Se produce un errore, si valuterà la colpa del programmatore, del tecnico o del gestore, in base alla diligenza e ai controlli esercitati.

  1. L’algoritmo come soggetto autonomo

In alcune situazioni l’IA prende decisioni senza intervento umano diretto. Qui il nodo si fa più complesso: non esiste una “responsabilità penale dell’algoritmo”, ma può configurarsi una responsabilità indiretta per mancata vigilanza o per uso imprudente della tecnologia.

Il problema della prova: la “scatola nera” dell’IA

Quando un algoritmo entra in un procedimento penale (ad esempio, per identificare un sospetto o analizzare prove digitali), il rischio principale è la mancanza di trasparenza.

Molti modelli di intelligenza artificiale, infatti, funzionano come “black box”, ovvero sistemi complessi i cui passaggi interni non sono comprensibili neppure agli stessi sviluppatori.

Questo crea diversi problemi giuridici:

  • Come può la difesa contestare un risultato prodotto da un algoritmo, se non può comprenderne il funzionamento?
  • Come si garantisce il contraddittorio, se l’accusa si basa su un sistema automatico opaco?

Per questo, la dottrina e la giurisprudenza più attenta chiedono di introdurre una vera e propria “prova algoritmica trasparente”, che consenta di verificare:

  • i dati di addestramento utilizzati dal modello,
  • i criteri decisionali applicati,
  • le eventuali distorsioni o pregiudizi (bias) presenti.

Reati e rischi più frequenti legati all’Intelligenza Artificiale

Le applicazioni dell’IA toccano molti ambiti, e non tutti privi di rischi penali. Alcuni esempi:

  • Frodi informatiche e truffe digitali: algoritmi capaci di generare falsi messaggi o video (deepfake) usati per ingannare utenti o clienti.
  • Discriminazioni automatizzate: sistemi che, basandosi su dati distorti, penalizzano categorie di persone in modo ingiusto (ad esempio, nei prestiti o nelle assunzioni).
  • Decisioni pubbliche automatizzate: software che influenzano misure cautelari, controlli doganali o valutazioni di rischio penale, con possibili errori che incidono sulla libertà personale.
  • Incidenti causati da tecnologie autonome: come nel caso dei veicoli a guida automatica, dove un malfunzionamento può provocare lesioni o decessi.

In tutti questi casi, il punto chiave è stabilire se l’uomo abbia mantenuto il controllo sull’azione dell’algoritmo e se abbia rispettato gli obblighi di vigilanza, verifica e sicurezza.

Le garanzie per i cittadini e i principi da rispettare

>Anche nell’era digitale, le garanzie costituzionali restano il cardine del diritto penale.
L’uso dell’Intelligenza Artificiale non può mai comprimere:

  • Il principio di legalità, secondo cui nessuno può essere punito se non in base a una legge chiara e precisa.
  • Il diritto di difesa, che implica la possibilità di comprendere e contestare ogni prova, anche se prodotta da un sistema automatizzato.
  • La presunzione d’innocenza, che vieta di considerare l’output dell’IA come prova piena di colpevolezza.
  • Il principio di proporzionalità, che impone di usare la tecnologia solo quando necessario e con adeguate tutele.

Verso un diritto penale “algoritmico ma umano”

L’Intelligenza Artificiale può essere un alleato prezioso per migliorare l’efficienza della giustizia e la sicurezza pubblica, ma non può sostituire il giudizio umano.
Il diritto penale deve restare uno strumento di garanzia: capace di accogliere l’innovazione, ma senza rinunciare ai suoi principi fondamentali.

La vera sfida dei prossimi anni sarà quella di costruire un equilibrio: un diritto penale che dialoghi con l’algoritmo, ma resti umano nelle sue decisioni e giusto nei suoi effetti.

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