QUANTO DURA UN PROCESSO PENALE?

L’art. 111 della Costituzione sancisce il principio della “ragionevole durata del processo”. Si tratta di una garanzia funzionale ad evitare il rischio di restare troppo a lungo nell’incertezza della propria sorte, e in particolare, quanto all’accusato nel processo penale, il rischio di restare troppo a lungo sotto il peso di un’accusa, sul presupposto che tale condizione, a prescindere dai più o meno fausti esiti processuali, sia di per sé fonte di sofferenza individuale.
Purtroppo, però, la previsione di una durata ragionevole dei processi sconta, in Italia, una realtà tutt’altro che garantista sotto questo profilo, che ci porta a definirla tra le peggiori d’Europa.
Occorre premettere che un procedimento penale ha inizio con l’iscrizione, da parte del pubblico ministero, del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato e si conclude con la sentenza definitiva. Questa può intervenire al termine del primo o del secondo grado di giudizio con il decorrere dei termini per impugnare la sentenza oppure con la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione.

Certamente la durata di un procedimento penale dipende, caso per caso, dalle variabili proprie di ciascun procedimento, tra cui, solo a titolo esemplificativo, la complessità dell’imputazione, il numero di imputati coinvolti, i testimoni da sentire e, lo si ribadisce, la facoltà di impugnare il provvedimento prima di giungere a quello definitivo.
Al di là di questo possiamo dire che, statisticamente, in Italia, un procedimento penale ha una durata media di 3 anni in primo grado, 2 anni in appello e 1 anno in Cassazione. Ovviamente occorre tenere presente che la durata del processo può variare anche a seconda di dove è incardinato. Vi sono infatti alcuni Tribunali e Corti d’Appello, come ad esempio quelli di Roma e Milano, che devono far fronte a un carico di procedimenti molto più consistente rispetto ad altri circondari di Tribunale, con la conseguenza che gli stessi vengono definiti meno celermente.
Pertanto, al netto delle possibili variabili, un procedimento penale in Italia, statisticamente, può arrivare a durare anche 6 anni prima di giungere a sentenza definitiva.
Uno degli effetti diretti più visibili dell’eccessiva durata dei procedimenti penali in Italia, è certamente il numero elevato di reati caduti in prescrizione, motivo per il quale il legislatore ha deciso di intervenire con la Legge Spazzacorrotti (L. n. 3/2019) prevedendo l’imprescrittibilità nei gradi di appello e Cassazione.
Tale intervento legislativo, però, se da un lato comporta una risposta al problema dei numerosi reati prescrivibili, dall’altro non risolve l’eccessiva durata dei processi e, oltretutto, determina il venir meno di un istituto, quello della prescrizione, pensato sin dall’origine a garanzia degli imputati.
Proprio per tale ragione interviene la recente riforma Cartabia, che introduce l’istituto dell’improcedibilità, allo scopo di evitare il rischio che, una volta intervenuta la sentenza di primo grado e – dunque – cessato il corso della prescrizione, l’imputato possa rimanere a lungo intrappolato nei vari gradi successivi.
Infatti, secondo le nuove disposizioni, i giudizi di impugnazione (Appello e Cassazione) devono concludersi entro tempi prestabiliti, pena l’improcedibilità dell’azione penale e, in sostanza, la chiusura del processo.
I tempi stabiliti dalla riforma Cartabia sono pari a 2 anni per il giudizio di appello e a 1 anno per il giudizio in Cassazione.
Ad ogni modo l’improcedibilità rimane rinunciabile da parte dell’imputato, che può volontariamente scegliere di farsi giudicare ugualmente, e non si applica ad alcuni reati, come quelli che sono puniti dal codice penale con l’ergastolo.
Per dare alle Corti il tempo di adeguarsi alla riforma, fino a 31 dicembre 2024 è in vigore un regime transitorio in cui i termini di cui sopra sono aumentati di 3 anni per l’appello e 1 anno e 6 mesi per la Cassazione.

A presto
MN

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