L’OPPOSIZIONE ALLA PERQUISIZIONE: LA NOVITÀ DELLA RIFORMA CARTABIA

La perquisizione, finalizzata alla ricerca di una cosa da assicurare al procedimento, è un mezzo di ricerca della prova, la cui legittimità è subordinata al rispetto di talune circostanze di fatto e di diritto che ne fanno presumere la liceità.
Tuttavia, sino ad oggi, non era previsto alcun controllo giurisdizionale sulle perquisizioni.
La necessità di un’autonoma verifica circa la legittimità della perquisizione è stata avvertita da una parte minoritaria della giurisprudenza, quanto meno in relazione alla perquisizione personale, stante la maggior invasività di tale mezzo di ricerca della prova. Nell’ambito di tale filone interpretativo, era stata anche affermata la sussistenza dell’interesse a impugnare il provvedimento di perquisizione, in quanto il gravame sarebbe volto all’eliminazione di un atto lesivo della sfera giuridica.

In questo contesto, l’esigenza di introdurre un apposito strumento di controllo del potere del pubblico ministero di disporre o convalidare la perquisizione, a prescindere dal suo esito, si è riproposta a seguito del vuoto di tutela dell’ordinamento processuale penale italiano messo in luce dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU, sez, I, 27 settembre 2018, causa Brazzi c. Italia), la quale ha ritenuto l’Italia responsabile per aver violato l’art. 8 CEDU, in una fattispecie in cui il ricorrente si era lamentato di non aver potuto beneficiare di alcun controllo giurisdizionale, preventivo o a posteriori, nei confronti di una perquisizione disposta in indagini a seguito della quale non era stato sequestrato alcun bene.
La riforma “Cartabia”, dunque, è intervenuta prevedendo uno specifico mezzo di “controllo” a posteriori del decreto di perquisizione cui non sia seguito alcun sequestro, posto che, nel diverso caso in cui la perquisizione dia esito positivo, permane la possibilità di proporre riesame.
E’ stato infatti introdotto l’art. 252 bis del codice di rito in base al quale, al di fuori delle ipotesi di sequestro successivo a perquisizione, l’indagato o la persona nei cui confronti la perquisizione è stata eseguita possono proporre opposizione, sulla quale il giudice provvede in camera di consiglio.
Tale impugnazione è possibile soltanto se il destinatario della perquisizione che si assume illegittima abbia un interesse immediato, concreto e attuale a rimuovere una situazione di svantaggio processuale.
Appare tuttavia chiaro che lo strumento in questione risulterebbe inevitabilmente ridotto nella sua portata applicativa, essendo obiettivamente limitati i casi in cui, a seguito di una perquisizione negativa, possa residuare un interesse “concreto ed attuale” alla verifica giurisdizionale circa la legittimità del provvedimento. Infatti l’atto di perquisizione, ove non seguito dal sequestro, esaurisce i suoi effetti nel momento in cui viene compiuto, sicchè non vi sono effetti giuridici suscettibili di eliminazione a seguito dell’accoglimento dell’opposizione.
Ad ogni modo, l’opposizione alla perquisizione va proposta entro dieci giorni dalla data di esecuzione del provvedimento. Si procede in camera di consiglio davanti al Giudice procedente. Se, dunque, ci si trova nella fase delle indagini, l’opposizione andrà proposta al giudice per le indagini preliminare.
La decisione che ne conseguirà, nel caso di accoglimento dell’opposizione, non potrà che limitarsi a dar atto dell’illegittimità del decreto di perquisizione, senza che occorra l’adozione di provvedimenti consequenziali, il che si traduce nell’adozione di un provvedimento meramente ricognitivo dell’illegittimità dell’atto ma, in concreto, privo di effetti processuali.

A presto
MN

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